IL PROCESSO EINAUDI I puntata
LUMPEN LETTERATURA
DAL ROMANZO LA CITTA' E IL DEMONIO di EZIO SAIA
CRONACA DEL PROCESSO - Prima puntata
Il fallimento Einaudi
Intanto era uscita l’Enciclopedia Einaudi. Nell’epico Lingotto
restaurato dal sommo architetto Piano, in una sala addobbata di fiori,
manifesti e copie dell’ Enciclopedia con un ricco buffet di bignole, Baroli e
Bonbon, alla presenza dell’alta e altissima cultura avvenne l’evento culturale
del secolo. Brillavano le maestà del sindaco Chiampa, delle autorità culturali
e dei vip; presenziavano grossi e fedeli burocrati, l’altissima elite, i
brillanti intellettuali, l’alta e altissima arte.
In quella sede
il Sindaco affermò che la grande Enciclopedia
Einaudi, con i celeberrimi Bonbon, i palazzi, le chiese, la sindone, la
statua di pietra, avrebbero fatto di Torino la capitale culturale d’Europa, per
la gloria di tutti i progressisti.
Belli, bravi,
solidali, poetici e colti
Belli, bravi,
solidali, poetici e colti
Belli, bravi,
solidali, poetici e colti
“Come oggi non
si può fare a meno dei succulenti Bonbon” proclamò il Gagà, accennando al bacile d’argento colmo di quelle delizie “così
domani non si potrà fare a meno di questa meravigliosa opera” e il carro carico
di Volumi dell’Enciclopedia entrò
solennemente tra gli applausi scroscianti dei presenti al suono di un quartetto
d’archi del maestro Viotti.
In un angolo
l’Assalonga soffocava e soffriva. Nel tumulto, affannosamente, consultò un
volume e, dopo aver letto, sfogliato e toccato con mano, con rabbia,
disperazione e dolore, ammise “E’ proprio come la volevo … l’Enciclopedia del
secolo… un monumento al pensiero, una nuova Diderot…. Ma perché gli ho venduto
l’Enciclopedia?”
Continuò a
chiederselo il derelitto Assalonga mentre scorrevano giorni di strabilianti
vendite “Ma perché gli ho venduto l’Enciclopedia?” Guaiva prendendosi la testa
fra le mani, mentre il Gagà,
sorridente, dichiarava in tivù “Si vende come il pane! Si vende come i Bonbon: tutti la vogliono, Enciclopedia qua,
Enciclopedia là, sono il signore della città.”. “Ma perché gli ho venduto
la mia Enciclopedia?” guaiva l’Assalonga di fronte a quel Gagà gongolante, sfavillante, scoppiettante, ridente.
Quella fu il
giorno peggiore della sua vita. Il giorno in cui, toccato il fondo più nero del
pozzo, evitò l’infarto solo perché le sue povere arterie non ebbero neppure la
forza di chiudersi. L’estremo spasmo non trovò i muscoli; i nervi palpitarono
invano, la luna lo irrise e lui, salvo per ignoto miracolo, s’accucciò nel buio
di quell’orribile pozzo.
Poi cominciarono
le voci dissenzienti. “E’ un’opera orribile!” gli confessò il suo consulente
fiscale: ” Nelle materie che conosci trovi solo banalità, nelle altre non ci
capisci nulla. A che serve? Cerchi “funzione” e trovi un labirinto di formule.
Cos’è una funzione? … Mistero!”, “Lo dice per consolarmi” guaiva l’Assalonga
dalla profondità del suo pozzo “Lo dicono tutti” replicò il consulente e per
l’Assalonga fu come approdare a un’oasi dopo mesi di deserto “Possibile?” si
diceva e cominciò l’ardua risalita del pozzo.
“Non ne vendono
più” riferivano le spie “il magazzino è pieno di Enciclopedie: montagne di
Enciclopedie, grattacieli di Enciclopedie. Sa che le dico Assalonga? Che presto
dovranno mangiarsele” Lo smunto Assalonga ingrasso di tre chili “Chi le dovrà
mangiare?” Chiese l’Assalonga “Il Gagà
e quei puzzoni dei suoi autori?”,
“Ma è un’Enciclopedia?”
ridacchiò con sarcasmo il direttore del suo settimanale “Cerco ‘Carlo Martello’
e non lo trovo, cerco ‘Fegato’ e non lo trovo, cerco ‘infarto’ e non trovo! Ne
ho comprato una e adesso che me ne faccio? Scrivo al grande Sotutto e gli dico
”Caro Sotutto, vieni a riprenderti questo rottame e restituiscimi i soldi”.
“Non serve a
nulla” si sfogò un suo revisore: cerco ‘Carlo Martello’ e non lo trovo, cerco
‘Fegato’ e non lo trovo, cerco ‘San Gennaro’ e non lo trovo; persino i radical
chic in privato sussurrano “E’ una schifezza: il popolo trova solo ciaciara
filosofica e latra “Ma dov’è Garibaldi? Dov’è San Gennaro? M’han fatto un
bidone!”.
Uscito dal pozzo
l’Assalonga ormai scalava i cieli più alti, rideva alla luna, irrideva agli
autori e al Gagà: “Loro che hanno sempre avuto la puzza nel naso! E che farà
l’elite? Mangerà Enciclopedie?” abbaiava sarcastico l’Assalonga che, ai sette
cieli, cominciò a telefonare agli autori del Gagà “Disprezzavate l’Assalonga?
Mangiavate Abbacchi e Bonbon? Ebbene ora mangerete Enciclopedie!” e rideva come
un matto, l’Assalonga, mentre gli scandalizzati chic gli sbattevano in faccia
il telefono chiamandolo fascista, serpe e teppista.
“L’enciclopedia?”
rispondeva qualcuno “Va come il burro!”
Ma intanto il
Gagà non pagava i fornitori, non pagava gli autori, emetteva farfalle;
“Piange il Gagà?”
rideva l’Assalonga “Sforna farfalle?”
Ma il nemico non
si arrendeva. Non solo difendeva l’Enciclopedia, proclamandola summa di saperi
e di concetti, ma preconizzava riscatti imminenti. “Non solo i traditori, non
solo gli intellettuali si ricrederanno e capiranno, ma anche i fornai e gli
idraulici. Tutti toccheranno con mano che senza l’Enciclopedia non si può
vivere e allora L’Enciclopedia, l’editore Einaudi, la città di Torino,
Togliatti e Castro, torneranno a risplendere e L’Enciclopedia, come la
biblioteca di Alessandria, come i giardini pensili di Babilonia, come il
Colosso di Rodi, diventerà l’ottava meraviglia del mondo. I giovani sfileranno
con le bandiere dell’Enciclopedia e urleranno nei cortei:
Noi siamo belli,
solidali, intelligenti e colti.
Noi siamo belli,
solidali, intelligenti e colti.
Noi siamo belli,
solidali, intelligenti e colti.
All’Assalonga
venivano i brividi e un giorno esternò le sue paure al presidente Gauss che
capì il suo dramma e gli giurò che il Gagà sarebbe fallito. “Perché” disse al
provato Assalonga, “Questa non è un’Enciclopedia, ma una serie di articoli di
luminari, che non sono luminari, ma solo lunari. E poi non c’è il mio nome e si
vede: cerco Carlo Martello e fra duemila anni sarò ancor lì a cercarlo, leggo
“funzioni” e non ci capisco nulla, eppure sono il critico Gauss mica il Gagà!”
L’Assalonga se lo abbracciò tutto. Sì, c’erano stati malintesi fra loro, ma ora
faceva il mea culpa. Osava il critico Gauss, con lauto compenso, incalzare la
cupola di sinistra?
Il critico Gauss
rispose all’appello e uscirono così sui giornali dell’Assalonga, a sua firma,
tre feroci colonne: chi erano questi numi? Chi era Amsterdamsky disseminato qua
e là come cicuta, chi era l’eccellentissimo Valerio Valeri disseminato come il
prezzemolo? Amsterdamsky? E chi era Amsterdamsky? Eco? E chi era Eco? Aveva
scritto La Critica
della Ragion Pura? Eco? E chi era Eco? Aveva notato l’alta cultura come tra
le firme non compariva quella di Gauss? “Volevano elevare la torre del sapere
ed è nata la nuova Babele” Concludeva l’articolo, “E allora crolli Babele!
Crolli Gomorra, crolli quell’infida Enciclopedia, torbido labirinto dove poveri
cittadini si sono smarriti per sempre nella vana ricerca di Carlo Martello,
Filippo il bello e Giovanna la pazza!
Anche il
caffettaio insorse: “Come ti sei permesso di accostare quella schifezza ai miei
supremi bonbon?” E fece pubblicare sul quotidiano La Stampa: “Questi meravigliosi Bonbon ( foto dei
Bonbon ) non hanno nulla a che fare con queste schifezze (foto di una stele
diroccata di volumi)”. L’intera confraternita chic gridò all’orrore e inviò
roventi e sdegnate proteste di fuoco, ma i bonbon correvano e l’Enciclopedia
marciva. La confraternita chic replicò che vivendo tutta Torino, compresi i
bonbon, nell’aura fatata creata da Gramsci, Togliatti, Pavese, i due Levi ecc.
ecc. l’Aura aveva impregnato i bonbon e fatto il miracolo. Il caffettaio
rispose che quelle supreme delizie non erano figlie di aure ma della sua sana e
geniale famiglia risalente a Colombo. La chic definì il caffettaio rozzo
fascista e lui replico che i bonbon del fascista arrivavano a Tokio, a New
York, a Pechino, a Mosca e a Luxor nella valle dei re. Rivelò poi come anche i
radical chic se li pappassero nei loro lussuriosi festini, pagati dal latte
succhiato dalle poderose mammelle di stato.
Ma i chic
inserirono il coro:
Noi siamo belli,
bravi, intelligenti, colti e solidali.
Noi siamo belli,
bravi, intelligenti, colti e solidali,.
Noi siamo belli,
bravi, intelligenti, colti e solidali,.
Queste diatribe
infastidirono appena l’editore Assalonga estasiato di fronte al collasso del
grande Gagà, che affondava nei debiti. Seppe che il Gagà aveva emesso tratte
fasulle per milioni e milioni e così venne il giorno in cui l’Einaudi fallì e
l’Assalonga pranzò a caviale e champagne.
“Bancarotta e
condanna sicura!” lo rassicurò l’avvocato “quattro anni non glieli toglie
nessuno”,
“Sicuri?”,
“Sicuri!”
“Anche se intervengono il sole, i soviet, i banchieri?”
“Dorma tranquillo!”
E lui se la
dormì prosperando felice e quando il Gagà fu arrestato, ascese al decimo cielo.
Arrivava sorridente in ufficio, rideva senza ritegno, non aveva più freni,
ballava, esultava chiamava l’amante, telefonava in Einaudi. Gli fu detto che
era volgare e brindò ad aragoste e champagne.
Seguiva il
processo, lo commentava e scoppiava in grandi risate dicendo: “Che bello essere
fuori mentre l’infido è dentro. Glielo dicono che fuori c’è il sole? Che l’Italia
sta bene e io sto bene?” Telefonava agli autori “Mi passa il Gagà? Posso
portargli le arance? Mangia farfalle? Ma il coro, dai chic ai titani, dalle
case ai palazzi, saliva potente.
Noi siamo belli,
bravi, solidali, intelligenti, colti.
Noi siamo belli,
bravi, intelligenti, colti e solidali.
Noi siamo belli,
bravi, intelligenti, colti e solidali.
L’Assalonga rideva di giorno e di notte,
rideva di mattina e di sera, se la rideva in ufficio e al telefono, finchè
venne il giorno in cui Balivo reclamò la sua anima
“Pronto?” abbaiò l’Assalonga,
“Pronto, sono il demonio! Telefono per
riscuotere l’anima”
Ma l’Assalonga rise “Il diavolo? Ha, Ha,
Ha, Ha, Ha, Ha, e rise quando la voce
fece tremare il telefono dicendo che i patti erano patti, che il Gagà era in
galera e che lui doveva pagare, ridacchiò:
“E cosa devo pagare?... Perché devo
pagare?” rise e abbaiò “Ha, Ha, Ha - Ha, Ha, Ha – Ha, Ha, Ha! Cos’è questo
scherzo? Ha, Ha, Ha - Ha, Ha, Ha – Ha, Ha, Ha”, rise fino a che mancò il fiato
e allora, chiuso il telefono, raggiunse l’ufficio e, sempre ridendo “Ha, Ha -
Ha, Ha, Ha – Ha, Ha, Ha”, raccontò di quel diavolo, ma fu presto richiamato al
telefono dal diavolo:
“Dammi l’anima Paga il tuo debito!” latrava la voce
“Vada all’inferno!” abbaiò l’Assalonga
che, irritatissimo, telefonò in caserma:
“Il diavolo mi perseguita” si sfogò, “pago le
tasse, arrestate il brigante!”
Cominciarono le
intercettazioni e la caccia. Le giubbe sentivano il diavolo esigere l’anima,
l’Assalonga sbraitare e l’intercettatore gridare “Arriva di qui, Arriva di là”
e correvano a sirene spiegate “E’ nostro! Sappiamo dov’è!”, ma le giubbe
arrivavano e il brigante spariva. Telefonava dai bar e le giubbe irrompevano
“Chi era al telefono?”, “Un tizio!”, “Com’era?”, “Nero, cornuto, biforcuta la
coda!” E i caffettieri ridevano.
Telefonava dalle
case private e le giubbe arrivavano, spaventando famiglie, coppie di amanti,
solitari individui “Come osate?”, “Vi manda il marito?”, “Vi manda la moglie?”
“Vi manda l’Arpia?” finchè in un alloggio grigio, sfitto da tempo, in Via
Consolata, un vecchio vicino di casa, dichiarò che sì, che là dentro, donde
uscivano strani e inquietanti rumori, doveva vivere il diavolo. “Come sono le
voci? Come sono i rumori?” “Gemiti, strida improvvise, lugubri rutti, cigolii
sinistri”, e così, sfondata la porta, l’esercito irruppe e arrestò un ometto
grassoccio che ammise di essere il diavolo “Sono io il telefonista pazzo”,
confermò l’ometto “Ma perché?” chiese la giubba graduata” e l’ometto,
scostandosi, mostrò una cambiale firmata Assalonga
“Vede? E’
firmata Assalonga e dice “ Se il Gagà in galera finirà, la mia anima al diavolo
apparterrà” Non è un bel verso ma la sostanza è chiara: il Gagà è in galera e
lui deve pagare” Al che il maresciallo ordinò
“Mettetegli le manette,
lo si porti in galera!” l’ometto protestò dichiarando:
“Cose da matti!” e continuò a ripetere “Cose
da matti! Quello non paga e io vado in galera”
“Documenti!” chiese il maresciallo,
“Vada nel
corridoio, entri nel bagno, esca dal bagno dalla porta dietro la doccia e lì
nella vecchia credenza, nel primo cassetto, troverà i documenti” rispose
l’ometto. Il brigadiere partì.
“Una camera a
cui si accede dal bagno! Mi sembra impossibile” borbottò il maresciallo “Lo si
metta in manette!” e fu subito il caos, perché collaborava, l’ometto, ma le
giubbe s’ingombravano l’una con l’altra e le manette entravano e uscivano. Una
giubba sbraitò, il maresciallo sbuffò ma le manette sgusciarono ancora, le
giubbe cominciarono a ridere e il maresciallo perse le staffe: “Lei ci
ostacola” disse, ma era evidente, anche al vicino di casa, che l’ometto ce la
metteva tutta e così risero tutti, persino il vicino, al che il maresciallo,
ricordatosi dei documenti, esclamò “Ma dov’è quel cretino?”